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Deinfluencer, dagli Usa il nuovo trend su TikTok

CHI PRIMA ARRIVA…
La prima ad utilizzare il termine nel 2020 è stata proprio un’influencer, Maddie Wells, ex dipendente di Sephora, che, parlando dei prodotti più restituiti dalle clienti in negozio, e facendo recensioni su articoli di make-up, ha iniziato a pensare al deinfluencing, postando video da oltre 2 milioni di views. Dopo di lei, in molte l’hanno imitata. E tra chi recensisce negativamente prodotti del mondo del beauty e dello skincare c’è chi suggerisce delle alternative più economiche e magari più efficaci. Ad esempio Alyssa Kromelis (@ alyssastephanie) 154,2 milioni di follower su TikTok, ha spopolato per la sua rubrica ‘Don’t buy it’ e ha superato i 5,5 milioni di visualizzazioni con un video dal titolo ‘Prodotti cult su TikTok che odio’. Nei suoi video, infatti, oltre a farsi porta-voce tra i deinfluencer, propone contenuti a tema skincare e cura della persona in generale, offrendo alternative migliori rispetto ai soliti prodotti sponsorizzati. Anche Valeria Fride (@valeriafride) 20,2 milioni di follower su TikTok, con un video in cui diceva ‘Non comprate nulla di quello che vedete qui’, uno dei suoi video più popolari, che ha ottenuto oltre 1,5 milioni di visualizzazioni, si rivolge ai followers con la sigla ‘Let me deinfluence you, beauty edition’, prendendo di mira alcuni bestseller come i prodotti per capelli Olaplex. Pioniera in questo senso in Italia è stata Clio MakeUp che, come da lei stessa raccontato in un video pubblicato qualche mese fa sul suo profilo Instagram, aveva iniziato la sua carriera parlando sinceramente al pubblico delle sue idee in merito ad alcuni tipi di prodotti relativi al settore beauty. Come lei, anche Adriana Spink (@ adrianaspink) con 630,9 milioni di follower su TikTok, ha superato 4,4 milioni di visualizzazioni con un video dal titolo ‘Prodotti beauty che non ricomprerei più!’. In Italia è molto popolare anche l’Influencer Onesta (@influenceronesta), alias Andreea Tolomeiu, che su TikTok con 258,7milioni di follower, prova prodotti famosi e super- consigliati e fa recensioni, così da testarli prima di tutti ed evitare ad altri di acquistarli. Il suo essere ‘onesta’, di nome e di fatto è legato proprio ai commenti che fa su certi articoli skincare. La strategia che porta avanti è quella di rifiutare qualsiasi tipo di collaborazione o partnership retribuita, proprio perché vuole sentirsi libera da condizionamenti e poter dire la sua.

SOCIAL DA GEN Z

La frase ‘non ti serve’, in inglese ‘you don’t need this’, diventa quasi un mantra, ripetuta in questi video, che spingono all’opposto di ciò che l’advertising sui social ha sempre fatto: a non acquistare. O meglio, ad acquistare solamente ciò che effettivamente può servire, anche togliendosi degli sfizi, ma finché le spese risultano sostenibili. La principale ragione che anima il deinfluencing sembra essere la lotta al consumismo per proteggere il pubblico da pubblicità ingannevoli e da acquisti sbagliati. Secondo GWI.com, una società di targeting del pubblico nel settore marketing, dal 2015 il numero di consumatori che cercano prodotti sui social media è aumentato del 43 per cento. Oggi TiktTok si può dire che stia diventando l’e-commerce più usato dalla Gen Z, che si fa guidare dai social per i propri acquisti. La deinfluencer canadese Michelle Skidelsky ha dichiarato a Forbes che il consumo eccessivo è molto presente su TikTok, rendendo “molto facile cadere nella tana del coniglio quando si acquistano cose che vedi online nella speranza di avere una vita migliore”. E in questo quadro il deinfluencing sta riscuotendo questo successo proprio perché gioca su una piattaforma che parla principalmente a questa generazione. “Penso che questo trend sia guidato dal desiderio della Gen Z di comprendere ed educare sé stessi e anche di contrastare il fatto che per così tanto tempo i social media non hanno rispecchiato la vita reale”, afferma Jay Richards, co-fondatore di Imagen Insights. Ne è sempre più consapevole la Gen Z, più accorta e informata sui meccanismi della manipolazione social. Un tempo infatti, c’erano i cosiddetti ‘consigli per gli acquisti’, spazi pubblicitari dedicati e debitamente segnalati in tv dove si proponevano prodotti di vario genere. Adesso ci sono gli adv di Instagram, annunci di sottoforma di storie o fotografie, dove un’influencer dà visibilità a un prodotto dietro un compenso. Per legge l’hashtag con l’indicazione di adv deve essere sempre segnalato, ma alle volte è indicato in fondo a una lunghissima caption o in carattere così piccolo da risultare illeggibile e da indurre in errore gli utenti più sprovveduti, contribuendo a distorcere la realtà. Questo rende labile il confine tra quello che sembra una recensione più o meno sincera su un prodotto e una pubblicità che, per sua natura, non è mai imparziale. “Più contenuti onesti e critici nei confronti dei marchi non sono necessariamente una cosa negativa – spiega a Bof James Nord, fondatore della società di influencer marketing Fohr -. Ma è una linea dura per gli influencer da percorrere perché non vogliono offendere i loro partner”. In genere, la percentuale di recensioni positive sui social media supera quella negativa per timore di perdere potenziali contratti, anche se i nuovi contenuti di deinfluencing si stanno dimostrando premianti in termini di interazione social e questo dovrebbe incoraggiare tutti a produrre contenuti più onesti.

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