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Plastica, aziende cosmetiche polemiche verso norme troppo restrittive e confuse

«Le premesse al testo ed il briefing redatto dall’Eprs (European Paliamentary Research Service) sono oggettive e condivisibili. L’impianto legislativo Europeo attuale che si basa su una serie di direttive tra cui la Ppwd 94/62 successivamente aggiornata nel 2018 ed il grado recepimento negli stati membri, hanno prodotto una situazione disomogenea in cui l’industria del packaging cosmetico sempre più spesso deve fronteggiare richieste incoerenti e contraddittorie che ostacolano la vocazione internazionale»: chi parla è Matteo Moretti, presidente di Lumson e del Polo della Cosmesi, commentando gli impatti sulla filiera del packaging cosmetico della proposta di nuovo regolamento PPW (Packaging and Packaging Waste) presentata 30 novembre 2022.

«La formulazione attuale della proposta di nuovo regolamento Ppw – continua Moretti – è chiaramente pensata per i packaging che rappresentano la frazione più grande dei rifiuti di packaging e non tiene conto della specificità di una filiera così piccola ed eterogenea per tipologia di prodotti come quella della cosmetica. Alcuni requisiti come quello di riciclabilità che non considera le esigenze di compatibilità con i prodotti cosmetici, di riutilizzo con una percentuale minima obbligatoria, di impiego minimo obbligatorio di materiale riciclato e di minimizzazione del packaging sembrano essere obiettivi troppo ambiziosi che, in attesa di eventuali chiarimenti, potrebbero creare più problemi di quelli risolti.In conclusione è necessario che il Parlamento Europeo legiferi in materia per portare l’auspicata chiarezza e armonizzazione nel mercato interno Europeo, tale azione dovrebbe considerare le specificità della nostra filiera».

Le problematiche relative alle normative europee sulla sostenibilità stanno rendendo molto complicata l’attività di un settore, come quello cosmetico, già fortemente regolamentato, secondo alcuni imprenditori.

«Ci sono grandi contraddizioni – sostiene Giovanni Ciliento, direttore commerciale Italia di Baralan (produttore di packaging cosmetico) -: sotto i termini “green”, “bio”, “eco” molte volte si nascondono inquinamenti e consumi (energetici e di materie prime ) di molto superiori a quelli delle cosiddette cattive plastiche. Ritengo che bisogna partire dal fatto che non esistono plastiche cattive ma solo cattivi comportamenti delle persone. Pertanto, non basta promuovere l’uso di materiali di origine bio (logicamente, non impattanti sulla catena alimentare), e di quelli provenienti dal riutilizzo di materiale di riciclo (Pcr e Pir), bisogna fornire al cliente tutte le informazioni necessarie per premettere una scelta consapevole; scelta che potrebbe riguardare la riduzione del numero dei componenti un pack, la riduzione del peso, la scelta di lavorazioni accessorie meno impattanti».

Continua: «Preoccuparsi del reale fine vita del prodotto, del suo riutilizzo sotto qualsiasi forma. È facile intuire che tutto questo è una questione di cultura: bisogna intervenire sulla formazione delle nuove generazioni, sul senso civico dei comportamenti, che possono determinare un impatto sul minore sfruttamento di materie prime ad ogni livello, e a una educazione del consumatore. La politica, anche in questo, dovrebbe avere un ruolo centrale, avendo l’umiltà di avvalersi di esperti che possano guidarli in un percorso per niente facile, dove servono competenze specifiche che non creino allarme e falsi miti ma che possano gestire il cambiamento.Infine, il nostro settore non è l’unico coinvolto e non può salvarsi da solo (il settore del packaging per gli alimentari, con produzioni di gran lunga superiori a quelle della cosmesi, è molto più coinvolto)».

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